Il
Mediterraneo ha un cuore. Questo cuore è un'isola di nome Sicilia.
Qui affluisce, qui si dirama il pingue sangue della civiltà in cui
siamo cresciuti e crediamo. Sarà satata la posizione geografica,
che, com'è noto, dirige in larga misura il carattere e il progresso
d'un popolo; saranno state le peripezie dell'isola, secolare calamita
di mille brame, crogiuolo di mille miscele, laboratorio dove si son
compiuti gl'innesti più fertili d'una cultura su un'altra; dove
dalle specie più varie si è generata un'inconfondibile gente dai
molti vizi e dalle molte virtù...certo è che così nel bene come
nel male, nessun altro luogo d'Europa, e forse nel mondo, appare
altrettanto carico di destino.
Qui ogni esercito, venuto a invaderci dai quattro punti dell'orizzonte, ha lasciato negli umori, nel costume, nella lingua una traccia del suo passaggio: il Nord normanno, il Sud saraceno, l'Occidente aragonese, l'Oriente greco...
C'è da meravigliarsi se abbiamo accolto il meglio e il peggio d'ogni razza, i doni più generosi, le più cruente ferite (ogni dono fu una ferita, ogni ferita fu un dono)? In tutti i casi un'eredità che non si cancella.
La Grecia ci ha educato al gusto della luce, dell'armonia; ci ha insegnato a erigere contro la volta celeste la forza pura delle colonne; ma ci ha insegnato anche a correggere le estasi della ragione con le spine dell'ironia, a ravvisare dietro il volto radioso di Apollo la smorfia ebbra di Dionisio...
I mussulmani ci hanno portato un profumo di giardini d'Oriente, di leggendarie Mille e una Notte; ma anche un seme di esaltazione fanatica, un'abitudine alla frode e alla voluttà...
I Normanni (troppo alti perché gli indigeni potessero colpirli altrimenti che con un coltello!) hanno aggiunto alla nostra panoplia la spada della fedeltà, del coraggio, della severa coscienza...
Gli spagnoli ci hanno contagiato l'iperbole e la superbia, il fasto delle parole e dei riti, la magnanimità del gesto cavalleresco, ma, con essi, il sapore della cenere e della morte...
Prima e dopo di loro, quanti altri! Fenici, Angioini, Austriaci, Piemontesi... E da ognuno abbiamo appreso una qualità che servisse con le altre a comporre l'impasto straordinario del nostro essere. Un impasto che ci rende riconoscibili fra di noi per un legame comune e ci divide dagli altri. Mai però al punto di rischiare d'omologarci in un'anonima aggregazione; poiché, al contrario, non esiste comunità dove l'individuo appaia così radicalmente irripetibile, così unico, così se stesso...
Tratto da Il Fiele Ibleo di Gesualdo Bufalino
Qui ogni esercito, venuto a invaderci dai quattro punti dell'orizzonte, ha lasciato negli umori, nel costume, nella lingua una traccia del suo passaggio: il Nord normanno, il Sud saraceno, l'Occidente aragonese, l'Oriente greco...
C'è da meravigliarsi se abbiamo accolto il meglio e il peggio d'ogni razza, i doni più generosi, le più cruente ferite (ogni dono fu una ferita, ogni ferita fu un dono)? In tutti i casi un'eredità che non si cancella.
La Grecia ci ha educato al gusto della luce, dell'armonia; ci ha insegnato a erigere contro la volta celeste la forza pura delle colonne; ma ci ha insegnato anche a correggere le estasi della ragione con le spine dell'ironia, a ravvisare dietro il volto radioso di Apollo la smorfia ebbra di Dionisio...
I mussulmani ci hanno portato un profumo di giardini d'Oriente, di leggendarie Mille e una Notte; ma anche un seme di esaltazione fanatica, un'abitudine alla frode e alla voluttà...
I Normanni (troppo alti perché gli indigeni potessero colpirli altrimenti che con un coltello!) hanno aggiunto alla nostra panoplia la spada della fedeltà, del coraggio, della severa coscienza...
Gli spagnoli ci hanno contagiato l'iperbole e la superbia, il fasto delle parole e dei riti, la magnanimità del gesto cavalleresco, ma, con essi, il sapore della cenere e della morte...
Prima e dopo di loro, quanti altri! Fenici, Angioini, Austriaci, Piemontesi... E da ognuno abbiamo appreso una qualità che servisse con le altre a comporre l'impasto straordinario del nostro essere. Un impasto che ci rende riconoscibili fra di noi per un legame comune e ci divide dagli altri. Mai però al punto di rischiare d'omologarci in un'anonima aggregazione; poiché, al contrario, non esiste comunità dove l'individuo appaia così radicalmente irripetibile, così unico, così se stesso...
Tratto da Il Fiele Ibleo di Gesualdo Bufalino