Castelluccio, Noto (Sr)
L'immagine che evoca la vista del sito archeologico di Castelluccio, tra Noto antica e Palazzolo Acreide, dall'alto del promontorio di contrada Mezzogregorio degradando verso l'assolata e verde valle del Tellaro, è quello di un nido d'aquila che domina su tutto. Lo sperone di roccia su cui si ergeva il castello del Principe, il pianoro sottostante sede dell'abitato preistorico, le rocce a strapiombo come appoggiate una sull'altra e rette da un equilibrio antico e misterioso, impassibili blocchi di rilucente pietra bianca, rimandano a qualcosa a cui il tempo continua a elargire sacrale rispetto. Continua→
L'immagine che evoca la vista del sito archeologico di Castelluccio, tra Noto antica e Palazzolo Acreide, dall'alto del promontorio di contrada Mezzogregorio degradando verso l'assolata e verde valle del Tellaro, è quello di un nido d'aquila che domina su tutto. Lo sperone di roccia su cui si ergeva il castello del Principe, il pianoro sottostante sede dell'abitato preistorico, le rocce a strapiombo come appoggiate una sull'altra e rette da un equilibrio antico e misterioso, impassibili blocchi di rilucente pietra bianca, rimandano a qualcosa a cui il tempo continua a elargire sacrale rispetto. Continua→
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Castelluccio, Noto (Sr)
L'immagine che evoca la vista del sito archeologico di Castelluccio, tra Noto antica e Palazzolo Acreide, dall'alto del promontorio di contrada Mezzogregorio degradando verso l'assolata e verde valle del Tellaro, è quello di un nido d'aquila che domina su tutto.
Lo sperone di roccia su cui si ergeva il castello del Principe, il pianoro sottostante sede dell'abitato preistorico, le rocce a strapiombo come appoggiate una sull'altra e rette da un equilibrio antico e misterioso, impassibili blocchi di rilucente pietra bianca, rimandano a qualcosa a cui il tempo continua a elargire sacrale rispetto. Rispetto per quanta antichità nasconde questo luogo e rispetto per la semplicità con cui ad oggi ci appare, un promontorio sferzato dal vento, bianco di pietra e rosso di tramonti. A ovest dello sperone, profonda, le paretti dritte che scendono a picco verso il luogo dell'eterno riposo, la Cava della Signora. Un corso d'acqua un tempo probabilmente impetuoso, ora rigagnolo che rifugge dall'arsura estiva, ha scavato questa cava che nel suo primo tratto, a monte del suo corso, appare al visitatore estremamente ostile, aspra di alberi che si aggrappano alle irte pareti, di luce che filtra dalle fessure, profonda ferita inferta dall'incessante fluire del tempo a difesa degli uomini, per la pace dei morti. Anche qui, come spesso accade in molti dei siti preistorici della Sicilia sud-orientale, la necropoli è adagiata sul fianco della cava, poco distante dal corso d'acqua.
Il sito di Castelluccio, di cui prende il nome l'omonima cultura, rappresenta la prima testimonianza dell'Età del Bronzo su tutta la parte sud-orientale della Sicilia, dalle pendici etnee alla Valle del Belice e a Mozia. Paolo Orsi vi effettuò due campagne di scavo, nel 1890 e 1891. La maggior parte delle tombe scavate dall'Orsi erano già crollate o violate ma alcune furono trovatte intatte. Tra queste, una tomba preceduta da un portico a quattro pilastri e chiusa da lastre con scolpiti motivi spiraliformi uniche nel patrimonio culturale Castellucciano.
L'immagine che evoca la vista del sito archeologico di Castelluccio, tra Noto antica e Palazzolo Acreide, dall'alto del promontorio di contrada Mezzogregorio degradando verso l'assolata e verde valle del Tellaro, è quello di un nido d'aquila che domina su tutto.
Lo sperone di roccia su cui si ergeva il castello del Principe, il pianoro sottostante sede dell'abitato preistorico, le rocce a strapiombo come appoggiate una sull'altra e rette da un equilibrio antico e misterioso, impassibili blocchi di rilucente pietra bianca, rimandano a qualcosa a cui il tempo continua a elargire sacrale rispetto. Rispetto per quanta antichità nasconde questo luogo e rispetto per la semplicità con cui ad oggi ci appare, un promontorio sferzato dal vento, bianco di pietra e rosso di tramonti. A ovest dello sperone, profonda, le paretti dritte che scendono a picco verso il luogo dell'eterno riposo, la Cava della Signora. Un corso d'acqua un tempo probabilmente impetuoso, ora rigagnolo che rifugge dall'arsura estiva, ha scavato questa cava che nel suo primo tratto, a monte del suo corso, appare al visitatore estremamente ostile, aspra di alberi che si aggrappano alle irte pareti, di luce che filtra dalle fessure, profonda ferita inferta dall'incessante fluire del tempo a difesa degli uomini, per la pace dei morti. Anche qui, come spesso accade in molti dei siti preistorici della Sicilia sud-orientale, la necropoli è adagiata sul fianco della cava, poco distante dal corso d'acqua.
Il sito di Castelluccio, di cui prende il nome l'omonima cultura, rappresenta la prima testimonianza dell'Età del Bronzo su tutta la parte sud-orientale della Sicilia, dalle pendici etnee alla Valle del Belice e a Mozia. Paolo Orsi vi effettuò due campagne di scavo, nel 1890 e 1891. La maggior parte delle tombe scavate dall'Orsi erano già crollate o violate ma alcune furono trovatte intatte. Tra queste, una tomba preceduta da un portico a quattro pilastri e chiusa da lastre con scolpiti motivi spiraliformi uniche nel patrimonio culturale Castellucciano.